Ci pensi mai al teatro?
Magari no. E non sei l’unico.
Ma è proprio questo il punto: ad Arezzo, sempre meno persone – soprattutto giovani – vanno a teatro. I posti rimangono vuoti, gli spettacoli passano nel silenzio generale, e spesso nemmeno sappiamo che esistano. E no, non è colpa dell’apatia generazionale. Il problema è strutturale, culturale, comunicativo. Ma anche nostro.
Perché il teatro è molto più di un palco con le tende rosse e battute da imparare a memoria: è un’esperienza che ti investe, ti scuote, ti cambia. E ce la stiamo lasciando scappare.
Sì, lo so cosa stai pensando:
“Il teatro è roba da prof, da gente in giacca e cravatta che cita Shakespeare anche al bar.”
Magari ti vengono in mente le uscite scolastiche con la prof d’italiano che ti spingeva in platea alle 9 del mattino.
Ma ecco la verità: non dev’essere per forza così.
Il teatro può essere rock, può essere meme, può essere TikTok con una drammaturgia fatta bene.
Oggi ci sono spettacoli che mescolano musica, danza, video, e parlano di identità, amore, guerre, sogni, burnout.
Altro che noia: se ti sei addormentato, forse hai solo visto quello sbagliato.
E Arezzo?
Non se la passa benissimo.
Il Teatro Petrarca, un gioiellino ottocentesco in pieno centro, ospita spesso stagioni importanti curate da Toscana Spettacolo (ToscanaSpettacolo.it). La programmazione è seria, colta, curata. Ma il pubblico giovane continua a mancare. E non solo per disinteresse.
Il problema è anche l’accessibilità: spesso i biglietti sono introvabili, spariscono in prevendita, oppure vengono messi in vendita in modo poco chiaro, con piattaforme scomode o senza un’informazione efficace. E quando ci sono, costano troppo.
Per un under 25, spendere 25 o 30 euro per uno spettacolo di cui non ha mai sentito parlare – e che nessuno gli ha raccontato bene – è un rischio che in pochi si prendono.
In più, la comunicazione è distante, rivolta a chi il teatro già lo conosce. I social parlano una lingua vecchia, il sito è freddo e istituzionale. Non c’è un tentativo reale di coinvolgere chi il teatro lo potrebbe amare, ma ancora non lo sa.
Non è un’accusa: è un dato di fatto.
E se non si cambia strategia, anche le stagioni migliori rischiano di restare un’occasione persa.
C’è poi il Teatro Pietro Aretino, piccolo e suggestivo, che ospita la rassegna Z Generation Meets Theatre curata da Officine della Cultura. È uno dei pochi progetti pensati per connettere palco e Generazione Z, con spettacoli che affrontano temi del presente usando linguaggi attuali.
Anche qui, però: promozione debole, social timidi, storytelling inesistente. Le iniziative ci sono, e sono valide, ma se nessuno le racconta… a cosa servono davvero? (officinedellacultura.org)
Nel frattempo si fanno laboratori nelle scuole – spesso bellissimi, intensi, sinceri – ma isolati. Scollegati da una visione ampia. Ottimi progetti, ma sparpagliati. Si parla di coinvolgimento, ma poi si usano grafiche del 2006, si sbagliano i target, si dimenticano i volantini.
E intanto noi ci disconnettiamo.
Non perché il teatro non ci interessi, ma perché nessuno ce lo racconta come si deve.
La verità?
Il teatro ad Arezzo potrebbe parlare anche la nostra lingua.
Ma deve volerlo fare.
Serve abbassare i prezzi per gli under 25.
Serve portare il teatro nelle scuole non come obbligo, ma come opportunità vera.
Serve dare spazio a chi vuole salire su un palco con un monologo, una poesia, uno sfogo, e dire “io ci sono.”
Serve che i social dei teatri smettano di sembrare pagine di biblioteche dismesse.
Serve anche una politica culturale che vada oltre la “stagione teatrale classica” e investa sulla partecipazione giovanile, non come favola da raccontare nei bandi, ma come pratica vera, concreta, continua.
Serve che chi fa teatro apra le porte. Ma anche che noi le spingiamo. Con forza, se serve.
Perché il teatro non è morto. Si è solo dimenticato di invitarci.
E allora tocca a noi bussare. Con stile, magari. Ma bussare.
Possiamo ancora entrarci. Possiamo prendercelo.
Proporre idee. Fare rete. Portare energia.
Perché il teatro è cultura. E la cultura, se la sai usare, è potere.
Arezzo ha i luoghi. Ha le compagnie. Ha le idee. Le persone ci sono.
Manca solo una scintilla.
Che magari, stavolta, parte da noi.
E se il teatro fossimo anche noi?
Il teatro non è solo stare seduti a guardare.
Può essere laboratorio, corso, jam session creativa.
Ci sono tantissime compagnie giovanili che fanno cose incredibili: nei garage trasformati in sale prove, nelle piazze, nelle scuole.
Fare teatro aiuta a conoscersi, a parlare in pubblico, a gestire le emozioni.
E no, non serve voler fare l’attore o l’attrice.
Serve solo voglia di mettersi in gioco.
Stare su un palco ti dà forza, sicurezza, libertà.
Ma perché il teatro è importante, davvero?
Viviamo in un mondo pieno di schermi: serie TV, TikTok, YouTube, scroll senza fine.
Cambiamo contenuto ogni pochi secondi.
Il teatro è l’opposto: ti chiede di fermarti. Di guardare davvero. Di ascoltare.
E quando ci riesce… è magia.
È come vivere in un’altra pelle per un’ora.
È uno scambio umano, diretto, potente. Una cosa che non puoi mettere in pausa.
Perché ad Arezzo ci sentiamo esclusi dal teatro?
Perché spesso non ci sentiamo invitati.
La comunicazione è vecchia. I manifesti sono pochi. I social sono usati male.
Le scuole propongono il teatro come compito, non come occasione.
E allora ci allontaniamo, senza che nessuno venga davvero a cercarci.
Ma dovremmo essere noi a riprendercelo.
Chiedere spazi. Proporre idee. Partecipare.
Il teatro è un posto dove possiamo esprimere la nostra voce.
Ma se non la usiamo, quella voce resta spenta.
Come si cambia? Si parte dal basso
Ci sono tante cose che si possono fare:
• Biglietti a prezzi simbolici per under 25
• Spettacoli pensati da e per i giovani
• Laboratori teatrali nelle scuole e nei quartieri
• Serate aperte per performance libere: poesia, rap, stand-up, monologhi
• Collaborazioni tra artisti locali e compagnie professioniste
• Comunicazione social fatta bene: video, storie, challenge, facce vere
Un teatro che parla la nostra lingua
Non si tratta di “fare cose per i giovani” in modo forzato.
Si tratta di ascoltare, davvero. Di creare un teatro che non ci guardi dall’alto in basso, ma che parli anche la nostra lingua.
E quando succede, succede la magia.
Ci sono esempi in tutta Italia: piccoli teatri rinati grazie agli studenti, festival organizzati da ventenni, spazi occupati da artisti emergenti.
Perché non anche ad Arezzo?
Teatro = cultura. Cultura = potere.
Parlare di teatro significa parlare di cultura.
E la cultura è potere.
Potere di pensare, di capire, di cambiare il mondo.
In un’epoca incerta – tra crisi, guerre, intelligenze artificiali, lavori che mancano – il teatro può essere respiro.
Un modo per ritrovare senso, per fare gruppo, per trasformare l’ansia in creatività.
Non lasciamolo morire
Lasciare il teatro vuoto significa lasciare morire un pezzo della città, della nostra identità.
Significa dire che la bellezza, l’arte, le emozioni vere non ci interessano più.
Ma non è così.
Lo vediamo ogni volta che un concerto ci dà i brividi, che una serie ci lascia in lacrime, che una poesia ci colpisce.
Dobbiamo solo dare anche al teatro la possibilità di farlo.
Un invito aperto
Questo è un invito.
Non da spettatori, ma da protagonisti.
Se sei di Arezzo e non vai a teatro da un po’, prova a tornarci.
Porta un amico. Proponi un’idea. Scrivi a una compagnia. Chiedi di salire sul palco.
Perché il teatro non è di chi lo gestisce.
È di chi lo vive.
E noi possiamo farlo rivivere.
A modo nostro.